Tecnofeudalesimo: la Silicon Valley come nuovo potere politico
Musk, Thiel, Palantir, criptovalute, manosphere e il ritorno di Trump. Stiamo entrando nell’era dei signori digitali?
C’è un confine sempre più labile tra tecnologia e politica. Ma oggi, più che superarlo, sembra che qualcuno lo stia disegnando di nuovo a suo piacere.
L’idea che le Big Tech siano solo aziende, oggi fa sorridere. Sono imperi con leggi proprie, economie interne, eserciti di follower, fedeli, developers, utenti.
E mentre la politica sembra arrancare, loro governano.Elon Musk flirta con Trump, licenzia giornalisti e plasma Twitter (X) come una fortezza ideologica.
Peter Thiel finanzia candidati radicali e coordina Palantir con governi e intelligence.
Zuckerberg sembra un feudatario che difende il suo metaverso in declino, mentre Bezos pattina tra Amazon e geopolitica.Intorno, si muovono mondi paralleli: crypto tribalizzate, manosphere reazionaria, AI open source vs AI capitalizzata, mercati paralleli di influenza.
Tutto questo non è più solo cultura digitale. È politica, è economia, è futuro.
📜 Cos’è il tecnofeudalesimo
Il tecnofeudalesimo è l’idea secondo cui non viviamo più in un puro capitalismo di mercato, ma in un sistema in cui il potere economico si è trasformato in potere proprietario digitale, estrattivo, totalizzante.
Nella visione di Evgeny Morozov, questo sistema non si limita a vendere prodotti o servizi, ma intermedia ogni relazione: sociale, lavorativa, culturale, informativa. Le grandi piattaforme – Google, Meta, Amazon, Apple, Microsoft – non competono più sul mercato, ma lo sostituiscono. Non offrono spazi, li possiedono. Non partecipano al gioco economico: scrivono le regole.
Cory Doctorow parla di un sistema in cui il “capitalismo dei monopoli” si è trasformato in un'economia da signoria digitale, dove ogni click, ogni contenuto, ogni movimento online produce rendita per pochi, in un ambiente chiuso, sorvegliato e non contendibile.
Come in un feudo medievale, i cittadini digitali non sono clienti, ma sudditi: possono abitare, ma non decidere. Possono usare, ma non possedere. Il valore non nasce più solo dal lavoro, ma dalla profilazione, dall’attenzione, dall’interazione, che vengono continuamente monetizzate e centralizzate.
Il tecnofeudalesimo non elimina il capitalismo. Al contrario, lo sublima in qualcosa di ancora più pervasivo e opaco, dove le regole democratiche fanno fatica ad arrivare, e dove la tecnologia non emancipa, ma organizza il potere.
Per chi vuole approfondire questa visione è uscito per La Nave di Teseo il libro di Yanis Varoufakis Tecnofeudalesimo - Cosa ha ucciso il capitalismo.
🏗️ Il potere non regolato delle piattaforme – da infrastrutture a istituzioni
Una volta le piattaforme erano considerate strumenti. Oggi sono diventate istituzioni private che regolano la vita pubblica.
Google non è più un motore di ricerca: è l’interfaccia cognitiva del mondo.
Facebook (ora Meta) non è più un social network: è l’ambiente relazionale di milioni di persone, il luogo dove si formano identità, si diffondono idee, si plasmano opinioni.
Amazon non è un marketplace: è l’infrastruttura logistica di intere economie, capace di piegare territori, filiere e consumatori.
Le piattaforme non si limitano a fornire servizi: gestiscono flussi, algoritmi, linguaggi, visibilità, norme.
Hanno un potere performativo: decidono cosa esiste, cosa conta, cosa arriva e cosa scompare. Non servono più la società: la costruiscono.
E tutto questo accade senza accountability democratica. Nessun cittadino vota per le policy di moderazione di YouTube. Nessun Parlamento regola l’algoritmo di TikTok. Nessun giudice entra davvero nei server di Palantir.
Le piattaforme sono extraterritoriali, ma onnipresenti. Private, ma totalizzanti.
Stanno occupando lo spazio della politica: dettano l’agenda, plasmano il consenso, sostituiscono il dibattito con l’engagement, l’azione con la reazione.
Non sono più aziende. Sono nuove forme di potere normativo, senza Stato ma con esercito (di utenti), senza legge ma con codice (software).
E come ogni potere non regolato, vivono e crescono nel vuoto lasciato da ciò che avrebbe dovuto controllarle.
🤝 Il ritorno di Trump e la ristrutturazione dell’alleanza politica-tecnologica
Il ritorno di Donald Trump alla presidenza ha segnato una svolta significativa nel rapporto tra politica e tecnologia. Durante il suo secondo mandato, si è assistito a un avvicinamento strategico tra l'amministrazione Trump e alcune delle figure più influenti della Silicon Valley. Elon Musk, ad esempio, ha espresso il suo sostegno a Trump, con piani per donare 45 milioni di dollari mensili a un Super PAC pro-Trump, evidenziando una convergenza di interessi tra il mondo tecnologico e l'agenda politica conservatrice. Il ruolo a capo del DOGE e la sua volontà di trasformare e gestire l’amministrazione pubblica americana, il più grande datore di lavoro del mondo, come se fosse una delle sue company con una agenda disruptive ha reso evidente la sua totale assenza di valori etici, il “Move Fast and Break Things” motto della Facebook della prima ora e sempre più di Musk ora non è compatibile con ciò che dovrebbe essere uno stato.
Parallelamente, investitori come Peter Thiel e venture capitalist come Marc Andreessen e Ben Horowitz hanno manifestato il loro appoggio, contribuendo finanziariamente e ideologicamente alla campagna di Trump. Questa alleanza si basa su una visione condivisa di deregolamentazione, promozione dell'innovazione tecnologica e opposizione a politiche considerate troppo restrittive per il settore tecnologico .
Tuttavia, questa ristrutturazione dell'alleanza politica-tecnologica solleva interrogativi sulla concentrazione del potere e sull'influenza delle grandi aziende tecnologiche nelle decisioni politiche. La fusione tra interessi economici e agende politiche potrebbe minare la trasparenza e l'equità nel processo decisionale democratico, richiedendo una riflessione approfondita sul ruolo delle tecnologie emergenti nella governance futura.
👑 I nuovi signori digitali – Musk, Thiel, Palantir, crypto e manosphere

Nel nuovo assetto del potere globale, non sono più solo i governi a dettare l’agenda, ma una rete fluida e potentissima di imprenditori, tecnologi e ideologi che si muovono oltre le istituzioni, ma ne condizionano profondamente le scelte.
Elon Musk non è solo l’uomo più ricco del mondo: è un media mogul, un gatekeeper dell’informazione, un influencer politico e un giocatore geopolitico. Con X (ex Twitter), Starlink e Tesla ha costruito un triangolo strategico che lo rende rilevante in ogni ambito: dalla libertà di parola alla guerra in Ucraina.
Peter Thiel, co-fondatore di PayPal, sostenitore della sorveglianza predittiva con Palantir e investitore in startup militari e biotech, è l’ideologo silenzioso della “nuova destra” americana. Non ha mai nascosto la sua convinzione che la democrazia rallenti l’innovazione. Ha sostenuto candidati come Trump, J.D. Vance e Blake Masters, cercando una destra tecno-libertaria capace di guidare un nuovo ordine.
Il mondo crypto, a lungo pensato come uno spazio anarchico e decentralizzato, si è paradossalmente riaggregato attorno a figure autoritarie, maximaliste, spesso reazionarie, creando comunità ideologiche armate di linguaggio economico, simbolico e tecnologico.
In parallelo, cresce la cosiddetta manosphere – un sottobosco fatto di guru della virilità, coach dell’iper-individualismo maschile, influencer dell’identità “anti-woke” – che converge sulle stesse piattaforme, con un linguaggio sempre più politico.
Figure come Musk o Zuckerberg stanno cercando di comprarsi popolarità e stima senza riuscirci, dimostrando che non sono disprezzati per il loro essere nerd o eccentrici ma per il loro essere umanamente deludenti, o stronzi se preferite.
Ne è un esempio questo bel post di
Zuckerberg stesso ha detto che Meta necessita di maggiore mascolinità, c’è chi dice che è la crisi di mezza età chi invece che si sia avvicinato alla cultura della manosphere. Questo universo non è più frammentato. Si organizza, si parla, si finanzia, crea reti di influenza globale.
È il potere liquido dei nuovi feudatari digitali: non eletti, ma seguiti; non istituzionali, ma determinanti.
Non promuovono solo idee, ma infrastrutture, valute, spazi cognitivi, narrazioni.
Il potere oggi non ha più solo troni: ha server farm, data center, fondi VC e milioni di follower.
E la domanda da porsi è: chi controlla questo potere? E a quale visione di società sta lavorando, dietro il brand?
🛡️ E l’Europa? E l’Italia? – Resistenze, vuoti e possibilità
Nel gioco di potere globale tra piattaforme, Stati e neo-élite digitali, l’Europa appare in ritardo, ma anche irriducibile.
Non possiede giganti tecnologici paragonabili a quelli statunitensi o cinesi. Ma possiede un’idea politica del limite, una cultura del diritto e, nonostante tutto, un legame col concetto di spazio pubblico.
La regolazione europea – dal GDPR al Digital Services Act – è oggi l’unica forza normativa che ha provato a mettere un argine all’arroganza delle piattaforme. Ma si muove lentamente, spesso sotto pressione delle lobby, e non sempre con visione.
Qualcosa si sta muovendo specialmente su AI e Difesa ma servirebbe molta più Infrastruttura al servizio dell’innovazione ed un piano per attirare i migliori talenti del mondo qui in Europa come dicevo qui.
L’Italia, in particolare, oscilla tra l’inerzia digitale e la dipendenza strutturale:
accetta le regole degli algoritmi esterni,
subisce la disgregazione informativa,
e non investe seriamente in sovranità tecnologica o alfabetizzazione critica.
Nel dibattito pubblico italiano, la tecnologia è spesso vista come strumento neutro o soluzione magica. Ma raramente come ambito di potere da negoziare politicamente.
Manca un pensiero politico sulla tecnologia. E manca una generazione politica che sappia tenere insieme innovazione e democrazia, velocità e giustizia.
Eppure, proprio in contesti come il nostro – con un forte capitale culturale, amministrazioni locali prossime ai cittadini, e un tessuto associativo ancora vivo – potrebbe nascere una risposta europea al tecnofeudalesimo:
fatta di piattaforme civiche,
di trasparenza radicale,
di politiche digitali locali con etica e visione.
Non serve un’utopia. Serve una politica che sappia capire cosa c’è davvero in gioco.
🧭 Se vuoi conoscere la vera natura di un uomo, devi dargli un grande potere.
Forse la vera domanda non è più chi governa, ma dove si esercita oggi il potere.
In un mondo in cui le piattaforme decidono cosa esiste, dove l’engagement ha sostituito il dibattito, e dove i nuovi signori digitali si muovono senza vincoli, il potere si è fatto invisibile, ma non meno incisivo.
Non possiamo più parlare di democrazia senza parlare di tecnologia.
E non possiamo più permetterci di pensare all’innovazione come se fosse neutra, separata, solo tecnica.Il tecnofeudalesimo non è una teoria, è la realtà che si sta stringendo intorno a noi.
Ma c’è ancora uno spazio – piccolo, fragile, ma reale – per resistere, per capire, per ripensare.
Sta a noi decidere se restare utenti passivi o diventare cittadini consapevoli anche nel digitale.
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